GUTTA CAVAT LAPIDEM

LA PROSPERITA’ ED IL PENSIERO

La goccia perfora le pietre, lentamente e con costanza.

Già durante il periodo classico lo si aveva ben intuito semplicemente osservando la natura, cioè come il costante e martellante cadere di una goccia d’acqua sulla roccia portasse alla fine alla modifica di quest’ultima, da sempre piuttosto percepita come resistente e immodificabile. La ripetitività di un gesto, di un’intenzione, unita quindi ad un’adeguata motivazione, può produrre effetti considerevoli.

Da notare, pur sottaciuto ed implicito allo stesso proverbio, è il focus posto sulla grazia dell’azione da compiere; non vengono suggerite azioni ecclatanti, impressionanti o forti ma piuttosto di non lasciarsi distrarre dai propri desideri, di non demordere anche quando momentaneamente non si vedono i risultati.

Due, tra i vari, possono essere i potenziali problemi che limitano la realizzazione dei propri sogni, delle proprie speranze.

  1. LA NEBULOSITA’. Vivere in uno stato di foschia interiore, ovvero il non riuscire a pensare oltre all’immediato. Ci sono fasi di vita in cui si aspetta con trepidazione la realizzazione del futuro e altre in cui viene più facile adeguarsi alla realtà, pur percepita come limitante o non pienamente aderente alle proprie aspettative. Ci si accontenta, magari nel passato si è anche pagato il prezzo di qualche aspirazione mal riuscita e inizia a farsi largo, nei pensieri e nelle emozioni, la convinzione che è meglio continuare a ripetere il già noto (anche se è in parte frustrante) perchè più sicuro. La nebulosità può essere però ancor più sofisticata: si conosce – circa – quello che si auspica per la propria vita e lo si riconosce anche come realistico ma non si analizzano gli step intermedi (necessari) e si rimane così solo con la sensazione di dover affrontare un gigante. La conoscenza dei passaggi intermedi è fondamentale sia perchè si riesce ad avere il controllo su tempi più brevi sia perchè questi offrono, quando realizzati, l’appagamento sufficiente per procedere oltre.
  2. IL TEMPO. Posto anche il fatto d’essere riusciti a darsi la chiarezza interiore necessaria, sia sulle speranze che sui passaggi intermedi, si deve affrontare l’attesa, più o meno lunga. La mente non conosce il ritmo del tempo, sa rendere presente, a livello emotivo e percettivo, anche cose lontane nel passato e questa sua caratteristica (talvolta patologica) potrebbe ingannare; come il passato (pur remoto) a certe condizioni sembra essere dietro l’angolo così si pensa che anche il futuro (foriero dei nostri sogni) sia altrettanto vicino.E’ vero che spesso, al termine di un qualche percorso, si ha la sensazione che il tempo sia volato ma, se non ci si inganna dalla percezione mentale del tempo, è altrettanto vero che lo spazio temporale è davvero una dimensione estesa. Per fortuna. Occorre allora tenere ben presente, senza ingannare se stessi, che spesso ci sono dei tempi precisi e nel percorrerli tanto vale gustare ogni momento. Spesso nei media e nelle varie narrazioni si presta attenzione a chi ha cambiato la sua esistenza in pochi passaggi (quanti film e libri si basano su questo? Ma in fondo, a pensarci, la stessa promessa del gioco d’azzardo, si basa proprio su questo principio: Bruciamo tutte le tappe intermedie e con loro la fatica di dover progettare e attendere; basta solo trovare il sistema giusto) ma la verità per i più è un altra. Passo dopo passo si arriva alla meta. L’importante è guardarsi attorno e magari essere in buona compagnia.

Per raggiungere i propri obiettivi è necessario conoscerli e talvolta darsi delle mete intermedie. Occorre predisporre tutte le condizioni. Ci vuole tempo, perseveranza e un atteggiamento interiore positivo che sappia gustare il momento presente e le persone con cui lo si condivide.

Alla fine per qualcuno la soddisfazione del percorso fatto è pari al conseguimento della meta: Gutta cavat lapidem!

SOLITUDINI. NON SEMPRE SERVE SCAPPARE

Beata solitudo Sola Beatitudo.

Beata Solitudine Unica Beatitudine.

Questo era un motto latino che, con un gioco di parole, voleva esprimere l’importanza di una solitudine viva, sorgente di benessere e di nuovo equilibrio.

Eppure, per molte persone, la solitudine è motivo di sofferenza, non di beatitudine.

E non sanno come superarla.

Attorno a noi notiamo persone particolarmente predisposte alla creazione di rapporti significativi con gli altri, mentre altre li vivono con disagio. E’ certamente un tratto del carattere avere una maggior predisposizione a creare legami ma non tutto dipende da quello. Come si abita la propria interiorità è determinante in questo.  Evidentemente poi esistono delle solitudini patologiche ma non è l’intento di questo articolo approfondirle. Scriverò piuttosto di socialità, della capacità di stare assieme e di come poterla migliorare.

Socializzare infatti è un arte e se non è spontanea può essere comunque appresa e migliorata.

Viviamo in un mondo connesso nel quale, a portata di click, le persone facilmente possono interagire tra loro eppure, oggi come non mai, molti vivono una solitudine che prima o poi si può trasformare in un vero e proprio isolamento percepito.

Le grandi strutture ed istituzioni che precedentemente avevano garantito la strutturazione del concetto di comunità sono nei fatti collassate su sé stesse e molti hanno dovuto cercare delle alternative, solo che non sempre si sono rivelate pienamente soddisfacenti.

Pur offrendo molte opportunità relazionali, per esempio, lo spazio web permette talvolta la creazione di rapporti virtuali che non si trasformano in incontri veri e propri, relegando così le persone nella rete. Si ha allora l’illusione momentanea di essere assieme a qualcuno; spesso però questo qualcuno sparisce così velocemente come era apparso..

Il mondo del lavoro inoltre acquisisce sempre maggiori dinamiche competitive interne per cui il collega più che un alleato che può anche diventare amico ma viene percepito come un competitor.

Anche la stessa difficoltà ad accedere al mondo del lavoro fa percepire le persone come escluse e non adeguate, quindi sole.

Sembra una descrizione sociale a tinte scure; eppure si possono anche notare dei segni di rinascita che si spera possano diventare sempre più coinvolgenti. Le persone sanno ancora fare gruppo, costituirsi comunità, specie dinanzi a crisi sociali e naturali.

Tutti abbiamo davanti agli occhi alcuni gesti d’altruismo e di pro-socialità riportati dai media che ricordiamo come ammirevoli, penso ad esempio alla generosità dei tanti che si sono impegnati in prima persona per le ricostruizioni a seguito dei terremoti che hanno ferito la nostra nazione o ai tanti, giovani e non, impegnati nel volontariato.

Dinanzi alle necessità e alle sfide percepite come comuni sappiamo aggregarci e tirar fuori il meglio di noi per il solo fatto che c’è una motivazione esterna, laterale alla socialità.

Molti oggi osservano le persone perse (o meglio schermate, protette) dentro ai loro smartphone. Molti docenti ed educatori sottolineano come sia diventato particolarmente complesso interagire con i giovani, parlare con loro, sentire le loro opinioni.

Alcuni poi raccontano come effettivamente sia complesso incontrare persone nuove per stabilire rapporti duraturi.

Apparentemente siamo più soli.

Ma la realtà è che è sono solo cambiati i criteri d’accesso alle relazioni. Rispetto ad altri tempi non esiste più la socialità fine a se stessa. Stiamo assieme tendenzialmente solo per un motivo comune (anche virtuoso), meglio se esplicitato nelle intenzioni.

In altre epoche ci s’incontrava solo per il fatto di appartenere allo stesso gruppo, alla stessa comunità, al medesimo quartiere o paese. Ci si conosceva da generazioni. Si vivevano gli stessi ambienti e le possibilità erano comunque minori.

Il crollo dell’appartenenza comunitaria, la mobilità disponibile e la difficoltà ad aderire a strutture relazionali ed istituzionali totalizzanti, dopo il disincanto attuale, creano un appartenenza meno scontata e ora doverosamente scelta o meno.

Per questo una buona socialità prevede una sana (beata) solitudine; in quel momento, precedente alla relazione, possiamo definire noi stessi, i nostri valori, obiettivi e scopi e così entrare poi in contatto con l’altro da sé con le giuste motivazioni ed energie.

Questo tipo di solitudine è necessaria. E’ la solitudine di chi sta pensando, rielaborando e capendo. E’ la solitudine di chi entra in sè stesso, nella propria mente e cuore, e contempla i cambiamenti che la vita ha operato nella propria visione del mondo.

E’ la solitudine di chi poi sa incontrare l’altro avendo coscienza di sè.

E’ la solitudine di chi vuole guardarsi attorno e consapevolmente scegliere se aderire a qualcosa o a qualcuno, anche nei modi e nei tempi.

Senza questa solitudine precedente si procede a caso; magari può risultare comunque efficace ma, quando così non accade, i lividi lasciati da un approccio fortuito alle relazioni possono divenire rilevanti e anche difficili da sanare.

DIPENDENZA AFFETTIVA: QUANDO L’IO SOFFOCA IL NOI

Nel corso dello sviluppo viviamo diversi momenti- del tutto naturali- nei quali, sin da piccoli, impariamo a diventare noi stessi.

Ci emancipiamo, impariamo a fare da soli, a perseguire la nostra autonomia senza cadere nell’inganno dell’isolamento, ad entrare in relazione con gli altri senza annullare sé stessi.

Questo in teoria. Nella pratica talvolta non accade, per molti motivi.

La cronaca è piena di vicende nelle quali è evidente, almeno in uno dei protagonisti, lo stato di dipendenza rispetto all’altro significativo che poi si può tradurre in diversi comportamenti lesivi o autolesivi.

Come si può entrare in modo salutare in una relazione con un altra persona se prima si risulta incapaci di vivere il rapporto con sé stessi ?

Prima o poi è evidente che l’inganno diventa manifesto.

All’origine di tutto ciò ci possono essere molte cose:

  • un rapporto non adeguato con i genitori, esperienze dolorose precedenti,
  • la volontà di fuggire da sé
  • il fascino esercitato da alcune persone irrisolte
  • vere e proprie patologie psichiatriche o neurologiche
  • e molte altre dinamiche personali

Il fatto è che ad un certo punto nella relazione ci si trova con la sensazione di soffocare, o perchè l’altro è troppo presente e dipendente o perchè si ha il terrore d’essere abbandonati.

In questi casi occorre molta prudenza e discrezione. E’ necessario affrontare e risolvere gli elementi che hanno prodotto lo stato di dipendenza prima che si trasformi in uno stato d’emergenza.

Il legame, l’essere attenti e felici quando si è assieme all’altro/a significativo è assolutamente un modo di vivere positivo ricordando però che l’Amore protende l’altro verso il suo pieno splendore mentre la Dipendenza Affettiva pretende dall’altro ruoli e comportamenti non necessari e talvolta dannosi

CRISI RELAZIONALE: COME NON ABITUARSI

L’essere umano ha un carattere decisamente relazionale.

E’ evidente come alcune persone siano maggiormente a proprio agio di altre nel gestire i rapporti umani, specie quelli affettivi, eppure tutti, in una qualche misura, sono in relazione con qualcun’altro.

Anche le persone che scelgono un isolamento piuttosto rigido hanno comunque da misurarsi con l’altro.

Per certe persone il riconoscimento, l’affetto esplicito e la vicinanza degli altri sono la conditio sine qua non per essere felici; altri invece sono più concentrati alla loro vita interiore, sulle emozioni che provano e sulle idee che perseguono per cui i rapporti umani- pur necessari – sembrano avere un ruolo vagamente più marginale per la ricerca del proprio benessere.

Siamo diversi. Essere in relazione con qualcuno può avere dei significati e dei tempi richiesti davvero molto variabili a seconda degli attori coinvolti.

Da questa diversità d’approccio alla vita e ai rapporti umani nascono spesso delle tensioni; anche perchè talvolta si rimane affascinati proprio dall’altro da sé, ovvero da qualcuno che ha marcate caratteristiche relazionali alternative alle proprie.

Il motivo per cui ciò accade è facilmente intuibile: in certe circostanze siamo portati a sviluppare conoscenze a noi quasi del tutto mancanti che vengono riconosciute nell’altro. E un modo inconscio che usiamo per “diventare di più” e per crescere così in ciò che percepiamo assente in noi.

Solo che talvolta, proprio questa diversità, da fonte d’attrazione diventa nel tempo origine di repulsione. Se si vive comunque il desiderio di rimanere della relazione occorre agire prontamente.

In questi casi infatti occorre mettere in atto la propria capacità di miglioramento e d’evoluzione interiore.

Riconoscere la propria fragilità (esattamente quella che ha fatto incontrare l’altro significativo rendendolo speciale) e renderla più solida, senza tradire sé stessi. Magari reciprocamente.

Per farlo, oltre che alla volontà personale, è assolutamente necessario l’accompagnamento psicologico in quanto, attraverso gli strumenti e le tecniche diagnostiche proprie della disciplina, ci si può concentrare sugli aspetti rilevanti e sui nodi irrisolti (talvolta negati o allontanati dalla coscienza) mettendo così in atto un percorso evolutivo che non disperda le proprie energie e che così permetta il miglioramento di sè.

ANSIA: LA NECESSITA’ DI AGIRE

La parola “Ansia” deriva dal latino Angere che significa “Stringere”

Chi vive un qualche stato d’ansia in effetti fa proprio anche questo tipo d’esperienza: sentirsi stretto al cuore, nello stomaco e nel respiro.

Esiste un ansia comune e funzionale per le persone quando ci si trova per esempio a dover affrontare un evento inedito, non consueto o a dover compiere una performance ad alto significato.

Ci sono poi dei disturbi legati all’ansia, ovvero quando questa diventa eccessiva, limitante e anche parzialmente non motivata.

L’ansia viene considerata patologica quando disturba, in maniera più o meno notevole, il funzionamento psichico globale determinando una limitazione della capacità di adattamento dell’individuo. L’ansia così è come dotata di una sua “autonomia”, manifestandosi senza un motivo apparente che la giustifichi.

Da un punto di vista diagnostico esistono diversi tipi di disturbi nella sfera ansiosa, eccoli di seguito:

  • disturbo d’ansia da separazione.
  • mutismo selettivo.
  • agorafobia.
  • l’ipocondria.
  • fobie specifiche.
  • il disturbo d‘ansia generalizzata.
  • il disturbo di panico.
  • la fobia sociale.

Senza entrare nella descrizione clinica dei vari disturbi risulta evidente che gli stati ansiogeni sono legati alle relazioni personali o ad oggetti e/o ad ambiti specifici (es. ansia legata alla propria presenza in certi luoghi o un ansia generata da alcune paure sempre più invadenti, come per le malattie, .A far eccezione apparentemente è il disturbo d’ansia generalizzato che si manifesta come un esperienza che accompagna la persona sempre e in tutte le circostanze.

Queste sono le reazioni fisiche e psicologiche più comuni che manifestano uno stato ansioso:

  • Irrequietezza o tensione psichica costante.
  • Sensazione di costante svuotamento e fatica cronica.
  • Fatica nella concentrazione con conseguente riduzione della memoria.
  • Facile nervosismo ed irritabilità.
  • Tensione muscolare cronica che può concentrarsi negli arti, nei muscoli del collo, della schiena e generare dolore.
  • Difficoltà nel sonno che si possono tradurre come difficoltà nell’addormentamento, nel mantenimento del sonno, oppure in un sonno agitato e non ristoratore.
  • Rimuginio
  • Evitamento delle situazioni che la possono innescare

Chiaramente ci sono intensità diverse: da uno stato di leggera agitazione passando poi per l’irrequietezza e l’apprensione per arrivare fino al panico.

Spesso le persone notano, se non attivano subito dei percorsi ad hoc, un aumento nel tempo della durata e dell’intensità.

I motivi che generano l’ansia sono innumerevoli; i più comuni sono comunque attribuibili a conflitti interni non risolti, a comportamenti appresi (magari di un qualche familiare significativo durante lo sviluppo) e all’affermazione inconscia di progressi psicologici ed evolutivi non ancora compiuti.

Spesso le persone gestiscono l’ansia con l’utilizzo di supporti farmaceutici, opportuni in alcuni casi (sotto prescrizione e controllo medico) ma mai risolutivi.

L’ansia stringe, ti chiede d’agire e prima ancora d‘essere ascoltata. Può essere una grande alleata per proprio miglioramento interiore e magari anche per affrontare quei nodi esistenziali e di maturazione che per lungo tempo sono rimasti irrisolti.

LA DEPRESSIONE: UN MONDO RIPIEGATO

La Depressione è ascrivibile ai disturbi dell’umore che possono essere distinti secondo tre categorie:

  • la depressione: caratterizzata da tristezza, calo della spinta vitale e ideazioni pessimistiche fino a pensieri autolesivi
  • la mania: caratterizzata da eccessiva euforia, logorrea, aumento della velocità del pensiero fino a sfociare in sintomi psicotici come deliri.
  • l’umore misto: caratterizzato dalla presenza sia di sintomi depressivi che di sintomi maniacali in concomitanza“

L’umore è un’atmosfera durevole e pervasiva che colora la percezione del mondo e di sé stessi. Quest’atmosfera può essere luminosa ma anche cupa o sfuocata.

L’umore quindi è quell’aspetto che conferisce la coloritura affettiva a tutto quanto viene vissuto, coloritura che si esprime attraverso i poli opposti dell’allegria e della tristezza, del piacere e del dispiacere, della gioia e del dolore.

La depressione non va confusa con la tristezza, la demoralizzazione ed il lutto; queste infatti sono esperienze comuni dell’esistenza, talvolta molto difficili da superare ma non necessariamente patologiche.

Gli stati depressivi possono essere causati sia da motivi somatici e neurologici (quindi una cambiamento del funzionamento del cervello) che da cause psicologiche.

Di fatto la depressione può essere innescata da molteplici fattori, talvolta anche inconsci per cui può ad un osservatore esterno sembrare originata senza motivazioni alcune.

Non è così, mai. Le origini ci sono, vanno cercate, accolte e risolte.

Ad oggi infatti, dal punto di vista clinico, si sottolinea sempre l’importanza di esplorare i sentimenti rabbiosi/ aggressivi e i conflitti interiori che si scatenano.

Chi soffre di un qualche livello depressivo mette spesso in campo infatti delle emozioni aggressive, anche non dirette, ma che alla fine producono un clima di tensione costante, specie nei confronti delle persone care.

In sintesi va affermato che tre sono le cose importanti da sapere sulla depressione: è comune, fa male ed è eminentemente curabile.